Quando devo suonare in pubblico spesso mi sento insicuro. Il mio corpo è in balia della mia emotività. Quando inizio a suonare è come se entrassi in trance. Tutto intorno a me è opaco e indistinto. Non riesco a controllare niente della mia esecuzione. Metto il “pilota automatico” e spero di non fare errori.
Quando ho iniziato a suonare il flauto traverso avevo undici anni. Nel giro di due anni mi sono ritrovato a suonare in pubblico per i miei familiari in occasione di saggi di classe e piccoli concerti. Per me queste prestazioni erano qualcosa di massacrante, la mia pressione emotiva era altissima: dopo aver suonato ero esausto sia fisicamente che mentalmente. Verso i sedici anni ho affrontato i primi esami importanti (il quinto anno o diplomino). Dovevo preparare brani e studi complessi, anche a memoria, e in quel momento mi sono reso conto di non sapere come studiare veramente. Quello che mi mancava era un corretto approccio con la musica. Le difficoltà tecniche e la struttura del brano non mi erano chiare. Raramente provavo il brano da capo a fondo e in caso di errore spesso mi fermavo e rincominciavo da capo o, peggio ancora, ripetevo l’errore incriminato. Per anni avevo lottato contro la mia emotività senza rendermi conto che alla fine era solamente una parte del vero problema.
Ora quando devo suonare in pubblico mi sento più sicuro. La mia emotività è nei limiti accettabili. Intorno a me vedo distinti gli oggetti e le persone. Riesco a suonare in modo tranquillo. Controllo lo strumento e il mio corpo. So cosa fare e come arrivare alla fine.
E’ stato proprio lo studio superficiale svolto in quegli anni a spingermi verso la ricerca di nuovi metodi di studio. Visto che di quei cinque anni di “studio” era rimasto poco o niente, per esempio tutti i brani che avevo ”studiato” me li ricordavo a malapena, decisi di cambiare tipo di approccio. Sono diventato più meticoloso nella organizzazione delle ore di studio. Quando studiavo non perdevo più tempo in ripetizione a caso, ma iniziavo a isolare le difficoltà tecniche che potevano così essere studiate in modo esauriente, utilizzando per esempio variazioni ritmiche o altri stratagemmi. Cercavo di dividere il brano in sezioni e poi in unità più grandi per avere più chiaro dal punto di vista analitico l’andatura del brano. Inoltre eseguivo il brano più volte di seguito da capo a fondo (come in un vero concerto) e in caso di errore mi imponevo di andare avanti. Una volta finita l’esecuzione ristudiavo il passaggio che avevo sbagliato. Queste tecniche e stratagemmi, assieme ad una corretta organizzazione del lavoro, mi hanno portato a raggiungere i primi risultati concreti e soddisfacenti.
Ma il vero cambiamento è arrivato quando ho iniziato a memorizzare in modo sistematico i brani. In quel momento è stato chiaro che gli esercizi che avevo usato fino ad allora erano in un certo senso incompleti per lo studio a memoria. Capii di avere poca memoria, o meglio, di non averla mai esercitata troppo fino a quel momento. Cercai quindi di imparare a memoria ogni cosa che suonavo: dagli esercizi giornalieri di suono e tecnica, agli studi e soprattutto i brani. Compresi che ogni cosa che studiavo a memoria era assimilata in modo più profondo rispetto a prima. Mi staccai dal leggio e dallo spartito e concentrandomi pienamente su quello che stavo eseguendo.
Entusiasmato da queste nuove scoperte ho iniziato a chiedere delle opinioni ai miei insegnanti o ad amici musicisti riguardanti la memoria e del loro legame con lo studio a memoria. Analizzando in seguito i loro pareri, mi sono reso conto che in realtà ogni persona predilige un tipo di memoria diversa:
- visiva (fotografica)
- uditiva,
- cinetica (legata al movimento corporeo)
- analitica
- associativa (legare l’immagine con una più forte)
- ecc.
Spesso però esso si rivela limitante o incompleto. Inoltre ogni tipo di memoria presenta lacune e può essere più o meno efficace a breve o a lungo termine. Per esempio io ho una memoria cinetica. Quando studio a memoria le mie dita memorizzano le sequenze motorie, ma nel momento dell’esecuzione in pubblico sono inciampato facilmente nei vuoti di memoria. In più è un tipo di memoria che, nel mio caso, funziona a breve termine. L’unico modo che ho di memorizzare a lungo termine è quello di ripetere ogni giorno il brano studiato. Per risolvere questi problemi ho imparato quindi ad abbinare il mio tipo di memoria predominante con quella analitica. Ho notato per che l’unione di queste due tecniche mi portava in primo luogo ad eseguire in pubblico il brano studiato con più sicurezza e in secondo a ricordarmelo a lungo termine con più chiarezza. Quindi mi sono chiesto se effettivamente lo studio a memoria è l’epicentro di questa nuova scoperta. Con studio a memoria intendo quello che va a sviluppare gli altri tipi di memoria e ad abbinare più tecniche di memorizzazione.